Nelle mie ricerche circa il significato profondo della balbuzie, vado a dare un ulteriore contributo alla comprensione di questo disturbo, soprattutto in termini di analisi del fenomeno balbuzie in senso linguistico e relazionale.
Dopo un interessante cammino di analisi del problema e dopo aver curato migliaia di bambini ed adulti balbuzienti, mi accingo a fare un ulteriore passo avanti nella spiegazione di quello che a mio avviso, potrebbe essere il significato psicologico del problema.
La mia esperienza di gruppo-analisi per curare la mia balbuzie e per formarmi come psicoterapeuta è stata illuminante nel darmi quegli spunti di riflessione per capire meglio la balbuzie, soprattutto il suo significato psicologico ed evolutivo, all’interno dei meccanismi di acquisizione del linguaggio nel bambino prima e nell’adulto poi e dell’uso relazione che si fa della parola nei processi di integrazione sociale all’interno del gruppo sociale.
Joseph Sheehan ha paragonato la balbuzie a un iceberg, con gli aspetti evidenti della balbuzie posizionati sopra il livello dell’acqua e la più larga massa di emozioni negative non visibili sotto il livello dell’acqua.
Questa definizione è affine a quello che io descrivo nel concetto delle due aree della nostra personalità, in cui la componente negativa del balbuziente ha una netta predominanza rispetto a quella positiva. Cambia solo l’aspetto topico del dinamismo in questione. Mentre Sheehan pensa ad un concetto più improntato ad un studio di livello, io vado nella direzione paritaria, con la sola differenza del predominio di una parte sull’altra.
Ora, al di la del concetto di Sheehan di una grande importanza della parte sommersa che incide prepotentemente su quella emersa, io voglio approfondire meglio il significato del sintomo della balbuzie.
E’ quasi certo che gli antichi sentendo parlare un balbuziente pensassero ud una persona che parlasse una lingua diversa dalla loro, ecco perché il termine balbuziente deriva etimologicamente da Balbus che si rifà al concetto di “ barbaro” che nell’antichità si usava per definire colui che parlava una lingua diversa dal gruppo di riferimento.
In effetti, il balbuziente attraverso il suo linguaggio disarticolato ci spinge a credere che questo sia vero. Ma il balbuziente quando è solo ritorna ad essere una persona con il linguaggio condiviso. A questo punto nasce ovviamente la domanda cruciale del perché il balbuziente utilizzi questa disarticolazione durante il confronto con gli altri e ritorni alla normalità nel tranquilla condizione di quando è da solo.
Nelle mie lunghe ricerche sulla balbuzie vedo un ragionamento difensivo che il balbuziente utilizza nella sua dinamica relazionale. Un linguaggio disarticolato appreso nell’infanzia per confondere e confondersi da una situazione che il bambino ha vissuto come insostenibile.
Un linguaggio strano per distogliere l’attenzione da una esperienza non facilmente gestibile e dagli esiti incerti. Scegliendo di balbettare, ha scelto una soluzione più pratica ma che poi ha generato rassicurazione prima ed abitudine dopo, fino a farlo diventare quello che io definisco “ l’abito del balbuziente”.
(Bitetti Antonio, La Balbuzie Approccio Integrato, IEB Editore, Milano 2010).