La parola dislessia ha una derivazione dal greco, ed è formata da “dis” che vuol dire mancante, o inadeguato e “lexis” che significa linguaggio. Quindi, il termine dislessia può essere tradotto come linguaggio mancante o inadeguato. Si tratta di una patologia descritta più dettagliatamente in tempi recenti, poiché solo nello scorso secolo appare per la prima volta una descrizione clinica ad opera di Hinshelwood che scrisse un intero trattato su un caso di un ragazzo affetto da questo deficit. Prima di allora tutti consideravano questo problema in rapporto all’ambito del linguaggio inteso come impossibilità nella produzione linguistica, più spesso legata a ritardo mentale.
La dislessia clinicamente viene inquadrata come un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA). Da un punto di vista strettamente clinico si manifesta attraverso una minore correttezza e rapidità della lettura ad alta voce rispetto a quanto auspicabile per età anagrafica, per la classe frequentata e per l’istruzione ricevuta. Appaiono più o meno carenti la lettura di lettere, di parole e di brani. In generale, l’aspetto evolutivo della dislessia può ricordare un semplice rallentamento del processo di sviluppo.
Per associare un simbolo visivo ( lettera) ad uno specifico suono corrispondente (fonema) è necessario avere la capacità di distinguere chiaramente i fonemi fra loro. Si dice comunemente: il bambino confonde le lettere; in realtà, quando si tratta di confusione di lettere simili per suono, il bambino confonde le lettere perché confonde i suoni. Ci sono in ogni lingua dei suoni molto simili ( es. in italiano: p-b, f-v, c-g, t-d, m-n, s-r ).
Un soggetto normale percepisce le differenze acustiche che caratterizzano i fonemi. In certi soggetti dislessici ci può essere una carenza nella percezione acustico-motoria, cioè nella percezione di un suono attraverso la propriocettività dei movimenti dell’apparato fonatorio. In questi casi è difficile analizzare in modo chiaro e preciso i suoni che caratterizzano il linguaggio, ed afferrare correttamente il sistema della loro riproduzione grafica.
La confusione più frequente si ha fra i suoni sordi e sonori ( p-b, t-d, ecc.) per i quali il bambino non percepisce la vibrazione laringea che costituisce la differenza fra il fonema sordo e il fonema sonoro, dal momento che le posizioni articolatorie dei due suoni sono pressochè uguali.
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali 5 (DSM 5, 2015), per formulare la diagnosi di dislessia è necessario:
- Avere un livello di lettura, misurato da test standardizzati, sulla performance, sulla velocità o sulla comprensione della lettura, al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a un’istruzione adeguata rispetto all’età.
- Che il deficit riscontrato interferisca in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività quotidiane che richiedono capacità di lettura.
- Se presente un deficit sensoriale, le difficoltà di lettura devono andare al di là di quelle solitamente associate al deficit in questione.
- Differenziare le normali variazioni nelle abilità di lettura dalla dislessia.
Quindi, la diagnosi di dislessia avviene quando il soggetto mostra capacità di lettura e scrittura sostanzialmente inferiori per età anagrafica, quoziente intellettivo e adeguata scolarità.
La dislessia è un disturbo a carattere neurobiologico, che caratterizza quei bambini che, nonostante abbiano uno sviluppo tipico, non raggiungono o faticano ad acquisire una lettura fluente e accurata in termini di velocità e precisione. In pratica, i sintomi della dislessia riguardano la difficoltà a riconoscere le lettere, i segni dell’ortografia, le regole di conversione da grafemi a suono e nella costruzione di singoli suoni in parole, in maniera automatica.
A differenza di chi è in ritardo nell’acquisire la capacità di lettura, per un bambino affetto da dislessia tale processo rimarrà lento e faticoso anche col procedere della scolarizzazione. Uno sviluppo delle competenze è sempre possibile, a prescindere dalla gravità di partenza; un bambino con dislessia non arriva però mai a raggiungere una normale competenza nella lettura. In generale, il bambino e lo studente con dislessia non hanno un rapporto “naturale” con l’apprendimento che deve avvenire tramite le parole: non è per loro sufficiente ascoltare per capire ed imparare, ma necessitano di spiegazioni che passino anche attraverso l’esempio concreto e la sperimentazione.
Tenendo presente che molti soggetti dislessici presentano difficoltà di linguaggio, sul piano del trattamento conviene anzitutto tener conto di un’educazione dell’espressione verbale. Quindi, è importante procedere, a seconda dei casi, a un controllo e ad una valutazione visivo-motoria e progressivamente ad una educazione ritmica per l’acquisizione delle strutture temporo-spaziali. Inoltre, ad una educazione percettiva in senso stereognostico, con particolare riferimento all’orientamento spaziale, ad una educazione all’automatismo dell’atto del leggere e alla comprensione concettuale del testo letto.
Là dove ci si trova di fronte ad una dislessia già strutturata è opportuno desistere quanto prima, da un insegnamento frustrante che potrebbe aggravare lo stato del dislessico, con complicazioni affettive e procedere ad un accurato esame del caso per orientarsi il più chiaramente possibile sugli interventi di didattica integrativa che il caso richiede. Infine è necessario guardarsi dal pericolo di cadere in un freddo tecnicismo, per cui ogni intervento specifico dovrebbe essere integrato dall’insegnante nel contesto della vita scolastica, così da non far sentire il dislessico diverso dagli altri.
Tutto questo perché il fenomeno della dislessia ha anche molte componenti socio-affettive che non devono essere mai dimenticate, anche quando ci si occupa del problema sotto il profilo specificatamente tecnico-didattico.